GLI STRUMENTI DEL SIMBOLICO
Il paragrafo si propone di descrivere uno degli strumenti del simbolico di cui si serve la narrazione di sé per rendersi visibile: la fotografia.
La
fotografia consente di imprimere su carta o su altro supporto immagini, eventi, pezzi di vita che sono esistiti in un tempo e in uno spazio precisi.
Le nostre fotografie, scatenano i nostri ricordi, e hanno il potere di creare un ponte vertiginoso tra l'istante dello sguardo e il momento bloccato dall'immagine. Esse sono al servizio della memoria, in quanto indagandole la mente rievoca eventi, impressioni ed emozioni legate all’immagine rappresentata.
La fotografia suscita in noi un sentimento e una riflessione in quanto ci comunica qualcosa. Se sappiamo fermarci e se sappiamo osservare, queste immagini saranno in grado di parlarci, comunicandoci un significato; se si tratta del
lavoro di un artista sarà la sua intenzione di farci soffermare su un determinato tema, facendo sorgere in noi quesiti e spunti che invitano alla riflessione. Se l’oggetto del nostro guardare sarà invece un’immagine di noi stessi da bambini, attorniati da un’attempata carta da parati, o una
vecchia fotografia in bianco e nero dei nostri familiari, emergeranno in noi sentimenti di nostalgia o di curiosità riguardo ai luoghi, ai modi di vivere di quel periodo; essa ci aiuterà così a scavare dentro di noi alla ricerca di episodi e immagini che da sempre ci appartengono.
Qui rintracciamo un’analogia con la narrazione di sé, la fotografia infatti reca testimonianza di ciò che abbiamo vissuto; nessuna immagine è uguale all’altra perché ognuna riflette in sé un evento, un istante che è irripetibile, la cui apparenza è trattenuta sul supporto. Il procedimento fotografico consente di guardare la fotografia a
distanza, attivando circuiti formativi simili a quelli che suscita in noi la scrittura autobiografica.
La fotografia consente il distanziamento dall’oggetto e quindi ne permette lo sguardo più profondo e la riflessione portando a nuovi significati.
Grazie a questa distanza la fotografia ci dà dunque la possibilità di vedere ciò che non avevamo visto, di rielaborare il vissuto ottenendo da esso
nuovo sapere sulla nostra storia. L’immagine infatti concede una conoscenza complementare e comunque altra da quella che deriva dal semplice sguardo; essa dischiude una visione che ci avvicina alla complessità dell’individuo o perlomeno che ci introduce alla sua molteplicità. Questa operazione è più immediata nel momento in cui abbiamo a disposizione diverse immagini e ne operiamo un confronto e una riflessione. Cercheremo dunque di mettere ordine fra le fotografie classificandole, sceglieremo quelle più confacenti al nostro scopo, operando continui collegamenti tra loro per far scaturire nuovi significati; lavorando a questa impresa alimenteremo il nostro
immaginario e costruiremo nuove relazioni fra le cose e nuovi percorsi di senso, che ci aiuteranno a tessere le trame di racconti riguardanti il nostro vissuto.
Le fotografie sono dunque
pezzi di vita, frammenti di un tempo passato in un determinato luogo, di un episodio accaduto, ritagli di esistenza che noi possiamo ricucire seguendo un’intenzione e approssimandoci a una forma, o facendoci trasportare dai ricordi e dalle emozioni che essi risveglieranno in noi.
Si tratta di confezionare un racconto, intrecciando i fili dell’ordito con quelli della trama, in un’opera che narri della nostra storia, aiutati dalle immagini che ci pervengono dal passato.
La fotografia viene quindi in aiuto alla tecnica autobiografica, stimolando la ricerca introspettiva e in seguito i ricordi, i sogni, i pensieri e i sapori di un tempo passato.
Anche qui vale la regola narrativa secondo la quale non è necessario seguire un ordine predefinito di fedeltà cronologica, anzi è bene lasciarsi guidare dall’estro creativo e scegliere ognuno la propria modalità per raccontarsi;
l’opera che ne seguirà parlerà di noi anche per il modo in cui è stata intessuta e per il supporto, i materiali e la tecnica che avremo scelto per confezionarla.
Il racconto di sé favorisce la relazione con l’altro e può essere supportato dalla
visione di fotografie, che accresceranno la narrazione e il coinvolgimento del destinatario.
La pratica della scrittura di sé si apre così all’altro permettendogli non solo di ascoltare la storia del narratore ma anche di averne davanti agli occhi frammenti e testimonianze.
La fotografia produce inoltre quello
sdoppiamento salutare proprio della scrittura, essa è infatti per sua stessa natura
duplicato e ci consente di vedere noi stessi nell’immagine, riconoscendoci e nello stesso tempo distanziandoci da essa; l’immagine fotografica permette inoltre di guardare il passato risiedendo nel presente. Ci ri-conosciamo dunque in un’immagine che è altro da noi stessi, aiutati dalla distanza che ci separa da quel “io”.
Un album di fotografie ci dà quindi la possibilità di “un
viaggio nel tempo, lungo passaggi inesplorati del ricordo, attraverso strettoie e improvvise aperture di senso”
(Adultità n. 10, novembre 1999, pag. 194).