IDENTITA' CHE LASCIANO UN SEGNO
Christian Boltanski riflette con la sua opera sul tema dell'identità, egli giudica infatti di grande importanza la storia di ogni individuo che è stato, e che ha lasciato un segno del suo passaggio sulla terra.
Ritratti incerti, opachi,
immagini cupe tutt’altro che nitide, raffiguranti ritratti di persone anonime e sconosciute, ritagli di espressioni appartenute a persone scomparse, queste sono le immagini che colpiscono del lavoro di Boltanski: l’attenzione all’esistenza del singolo, della persona che vive e fa esperienza del mondo per un periodo di tempo, la cui durata è quantificabile soltanto da chi resta. È l’importanza conferita a quell’
individuo, generalmente sconosciuto, che fa di quei ritratti un oggetto interessante per la mia ricerca.
Questi “quadri” si presentano come relitti sofferenti di qualcosa e qualcuno che è stato, e insieme appaiono
reliquie preziose che testimoniano la presenza che fu di un individuo qualsiasi, volutamente strappato proprio per questo, dall’
oblio.
Sono
fotografie in bianco e nero spesso stampate su tessuto, attorno alle quali egli crea un’atmosfera di oscurità e mistero attraverso l’utilizzo di candele e lampadine che illuminano debolmente volti sbiaditi o piccole figure ritagliate dal metallo, che gettano la loro ombra sui muri delle gallerie, talvolta delle chiese.
Insieme alle fotografie, il lavoro di Boltanski è costellato di
oggetti, come abiti usati ed utensili del quotidiano, effetti personali che sembrano usciti dalla tasca di chissà quale pantalone, tutti residui di una storia di vita che è stata. Questo materiale organizzato in istallazioni volute dall’artista, evoca presenze uniche e irripetibili che nel tempo sono divenute assenze.
Il lavoro dell’artista è prevalentemente cupo, privo di colore, proprio per richiamare la dimensione dell’oblio, del silenzio che lascia dietro di sé una persona quando scompare. L’intento è infatti quello esporre simbolicamente una zona d’ombra nella quale l’eco della testimonianza è sopraffatta dal silenzio, è il tentativo di poter sottrarre grazie a questo rituale, quelle ‘piccole memorie’ così come Boltanski le chiama, al loro destino, la dimenticanza.
Ciò che ci rimane infatti, la vera reliquia è il silenzio. Le cose, gli oggetti non possono far parlare la persona a cui sono appartenute, possono essere soltanto ricordi. Ma ricordi unici ed essenziali per far sì che essa non cada completamente nell’oblio.
La parola dei vivi si infrange contro il silenzio dei morti.
Quasi come un “Io narrante” Boltanski ricompone i frammenti di esistenze qualsiasi in un’immagine destinata a testimoniare, attraverso i simboli dell’inevitabile e funesto non esserci più, il quotidiano esserci stato, tanto più intimo e familiare, quanto più irripetibile e irrimediabilmente perduto.
Fotografie, abiti usati, ritratti sbiaditi, scatole piene di oggetti, sono flebili tracce di un mondo e un tempo che ora non è più, segni che egli tenta di sottrarre all’eterno silenzio della dimenticanza. Questi reperti sono metafore che annunciano, tramite la ritualità monumentale in cui sono inserite, l’impossibilità del recupero di ciò che è stato, o più precisamente dell’
esserci stato.
È una riflessione sull’
identità, quella di Boltanski, molte delle sue opere raccontano di esistenze qualsiasi, situate ai margini della storia, relegate nel dominio opaco e indistinto dell’anonimato, esistenze a cui appartengono quei ritratti e fotografie languidamente illuminate. Sono frammenti di storie di vita realmente esistite, storie di presenze sconosciute, ma non per questo irrilevanti, al contrario ognuna di queste possiede la propria unicità, derivata dal fatto che ogni momento, ogni tempo di vita vissuta è irripetibile. L’anonimato, per questo artista, acquista un significato differente, l’individuo senza nome ritratto dalle fotografie che egli espone, è attribuito di importanza perché egli è unico e la sua presenza in questo mondo ha lasciato inevitabilmente un
segno, se non altro testimoniato dalla sua fotografia. L’assenza di cui quelle immagini diventano il simulacro, è un’assenza precisa, che si riferisce all’esistenza caduca di un individuo, che per sua caratteristica è e rimane unico e irripetibile.
L’identità del singolo merita di non essere dimenticata, in quanto aspetto irriducibile del suo essere individuale, specificità che deriva dalla differenziazione da qualunque altro essere umano, di essere quella persona e non un’ altra, ed è in questo modo che dobbiamo vedere ognuna delle opere di Boltanski, come reperto unico e distintivo di un solo e unico individuo.
I ricordi, quindi, sono il mezzo che possediamo per far sì che il singolo non venga considerato come una persona qualsiasi, parte di una categoria che ne sbiadisce la specificità, destinato all’assoluta dimenticanza.
Nel pensiero dell’artista ritroviamo questo timore «Che dopo la morte il soggetto subisca una terribile e irreversibile mutazione che lo trasforma in oggetto»
(Christian Boltanski Faire part, 2002), che il significato della sua esistenza cada definitivamente nell’oblio; naturalmente la questione rimane aperta, l’artista si accosta al tema, propone una riflessione ma non ha certamente in sé la risposta.
Il tema centrale dell’opera di Boltanski è la contraddizione esistente tra la vita e la sua contemporanea impossibilità, l’idea per cui ogni momento della nostra vita si trasforma immediatamente in passato, già definitivo, il cui residuo è il ricordo, come se comunque ogni nostro tentativo di salvare l’esperienza vissuta sia destinato a fallire e l’unica possibilità che abbiamo è conservare il ricordo, per far sì che l’esperienza non svanisca nel fluire incessante del tempo.
Egli è quindi principalmente interessato alla caducità dell’individuo, al suo continuo morire, e molte delle sue
opere riguardano proprio questo aspetto. La morte non è la cosa peggiore, sostiene Boltanski, molto più difficile e impossibile è la vita che ripetutamente dimentichiamo non appena è divenuta passato.