4.2.1 Egotismo solidale
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IO E L'ALTRO
L'autobiografia è qui visitata alla luce del suo valore autoformativo; essa non è una pratica solitaria, in quanto riconosce come proprio elemento essenziale la condivisione con l'altro.

Come ci ricorda Cap. 2.3 Christian Boltanski, la storia di vita di ognuno è di grande valore e non dovrebbe essere dimenticata proprio perché unica e irripetibile fra molte altre esistenze, il suo racconto la inciderà per sempre nella memoria, sia che si tratti di un autobiografia o di una biografia scritta da un’altra persona.
Scrivere delle nostre memorie alimenta inoltre in noi la consapevolezza dell’esclusività della nostra vita, ci sentiremo così protagonisti della nostra storia, e la nostra identità ne gioverà.
Raccogliere le nostre esperienze passate, riordinarle e classificarle significa attribuirvi un senso che pervade tutta la nostra esistenza e che permette che Cap. 4.1.2 ci riconosciamo in quanto individui; ne consegue una maggior coscienza di ciò che siamo stati e di ciò che ora siamo, grazie al percorso che ravvisiamo alle nostre spalle e che ci ha formato. Noi siamo le memorie delle nostre esperienze passate e grazie alla scrittura possiamo comprenderle alla luce del tempo che è passato e del significato che gli attribuiamo.
Scrivere la propria autobiografia è una pratica introspettiva che educa a distinguersi, a scoprire e a valorizzare se stessi e la propria vita interiore nonché le proprie scelte e azioni.
È un progetto di Cap. 4.2.4 autoeducazione che comprende una riflessione su di sé e sulle esperienze che contribuiscono alla propria formazione.
Scrivere dà la percezione di possedere una propria biografia, in questo modo si acquisisce il senso di sé che è indice di indipendenza, ma questa è comunque un’indipendenza limitata in quanto siamo in grado di identificare anche il ruolo degli altri nella nostra vicenda umana.
Riflettere sul proprio passato significa quindi riconoscersi e nello stesso tempo riconoscere l’intrinseca socialità della vita che fa in modo che ci rapportiamo continuamente a diverse persone e all’altro in generale. Riscopriamo quindi l’apporto significativo e in ogni caso formativo di alcune delle persone che hanno incrociato la nostra strada e che ci hanno aiutato nelle scelte e nei cambiamenti importanti, sappiamo che non avremmo potuto fare a meno di loro e del contributo che hanno saputo dare alla nostra formazione.
Questo è quello che Demetrio nel suo libro chiama Egotismo solidale, riferendosi al valore degli altri e all’esigenza di condivisione e aiuto che ci caratterizza come individui.
Ognuna delle persone che citeremo nella nostra autobiografia, avrà meritato quel posto nei nostri ricordi per aver lasciato un segno, qualcuno quasi impercettibilmente, in noi. “La propria identità cresce a mano a mano che aumenta la capacità di narrare le proprie esperienze e di ascoltare quelle degli altri” (Mantegazza, 1996, pag. 18).
Appurata la nostra unicità come individui, ciò di cui siamo costituiti è soprattutto la nostra storia, unica anch’essa, la quale possiamo vedere se ci voltiamo indietro. Scorgeremo così quella strada solcata dai molti altri soggetti, che con noi hanno camminato, o camminano tuttora, e che hanno tracciato segni indelebili del loro passaggio, segni ormai mescolati alle tracce dei nostri passi; ci restano impresse, infatti, persone che ci aiutano a dar senso alla nostra vita.
Grazie alla rivisitazione e all’interiorizzazione delle esperienze vissute, la scrittura di sé rappresenta un’educazione al rispetto per la propria vita e di conseguenza al rispetto per quella altrui, nell’accettazione delle evidenti differenze che ci caratterizzano. All’educazione all’individualità, che evidenzia i valori della singolarità, diventa complementare quindi l’educazione al senso della vita sociale e delle responsabilità comuni in un progetto educativo che conferisce la medesima importanza alla coscienza di sé e alle relazioni interpersonali nella formazione della persona.
L’autobiografia è anche un metodo per parlare di sé, è un’opera di scavo che permette a chi vi si accinge, di raccontarsi agli altri, ed essere così da loro riconosciuto in quanto individuo con la propria storia. Cap. 4.1 Esserci infatti implica un riconoscimento della propria esistenza da parte dell’altro, e questo avviene comunque grazie al racconto che ogni giorno facciamo di noi stessi, implicito anche nelle nostre scelte e nel nostro fare quotidiano. Scrivere di noi, amplifica questo racconto e rende esplicito al destinatario della nostra opera, il nostro desiderio di farci ri-conoscere. Attribuiamo a noi stessi molti significati e ci apriamo al mondo e alle persone che ci circondano presentandoci a loro per la consapevolezza che abbiamo di noi stessi. Ci sentiamo finalmente presenti a noi stessi e al mondo, come in un nuovo debutto in società dotato di maggior consapevolezza. A tutto ciò si accompagna la volontà di essere compresi dagli altri e così riordinando i nostri ricordi diamo un senso alla nostra storia e la doniamo agli altri perché la leggano e finalmente ci conoscano.
Il narrarsi all’altro oltre ad essere una pratica per esplorare la propria interiorità, permette di costruire col nostro interlocutore un significato condiviso e una condivisione di affetti; di conseguenza con la narrazione di sé si acquisisce una modalità di stare con se stessi e con gli altri, imparando a vivere le relazioni in modo più diretto e sincero, interessati alla biografia degli altri nel proposito di conoscere noi stessi, e di farci conoscere da loro.
È un modo per diventare “…un po’ narratori, un po’filosofi, un po’meno egocentrici e un po’ più solidali” (Demetrio, 2004, pag. 189), nei confronti dell’altro.
Queste considerazioni ci fanno approdare alla concezione del sé di Bruner, secondo cui “l’esistenza e il Sé che noi stessi costruiamo sono i prodotti di questo processo di costruzione del significato” (Bruner, 1997, pag. 131), la narrazione è allora la modalità con cui l’uomo fa esperienza del mondo e di se stesso, e grazie alla quale si definisce.


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